Sviluppi e prospettive della teoria relazionale della società

Dott.ssa Sara Nanetti, assegnista di ricerca di Sociologia, Università Cattolica di Milano

Recensione del volume di:

Donati P. (a cura di), La teoria relazionale nelle scienze sociali: sviluppi e prospettive, il Mulino, Bologna, 2022.

Gli ultimi anni, segnati dal susseguirsi di profonde trasformazioni sociali, il più delle volte imprevedibili, hanno messo in luce la rilevanza pubblica delle scienze sociali (Burawoy 2005). La sociologia è chiamata ad interrogarsi sul suo statuto epistemologico, sui suoi presupposti teorici e sulle sue metodologie al fine di rispondere agli urgenti interrogativi che muovono a partire da tali mutamenti. Lo spessore di tali interrogativi insieme alla possibilità di trovare risposte adeguate richiedono infatti un ripensamento critico della disciplina che tenga conto ad un tempo dei fondamenti antropologici e ontologici del sociale e delle sue implicazioni pratiche.

La relazione, come qualità distintiva del sociale, ha assunto nel corso della recente emergenza pandemica, una nuova e inedita centralità. Nel volume Dopo la pandemia. Rigenerare la società con le relazioni Pierpaolo Donati e Giulio Maspero precisano gli effetti che la pandemia ha avuto sulle relazioni sociali e la rilevanza che le relazioni hanno assunto proprio a partire dalla pandemia, tanto che «senza relazioni, il virus non esiste. Non esiste come fatto sociale» (Donati, Maspero 2021, 9). Da un lato sono state proprio le relazioni a veicolare il virus, dall’altro però «per combattere il virus, si è dovuto ricorrere alle buone relazioni» (Donati 2022, 316). Come evidenziano anche alcune interessanti ricerche internazionali (C. A. Makridis, C. Wu 2021) sono state proprio le buone relazioni, che si esprimono ad esempio in termini di capitale sociale, ad avere costituito un fattore protettivo rispetto al contagio. Una fiducia diffusa e solide relazioni all’interno delle comunità locali, oltre a sollecitare negli individui una maggiore preoccupazione per gli altri, hanno favorito pratiche responsabili che hanno concorso a una minore diffusione del virus.

La sociologia non può esimersi dal rilevare un crescente interesse e una sempre più cogente rilevanza delle relazioni, lo studio e l’analisi delle relazioni sociali sembra essere oggi una questione indifferibile. Il manuale di Dépelteau, The Palgrave Handbook of Relational Sociology pubblicato nel 2018, ha il merito di avere messo in luce la rilevanza della sociologia relazionale. Attraverso il contributo di 33 autori, il vademecum percorre una variegata costellazione di prospettive sociologiche relazioni che hanno dato corpo alla riflessione scientifica internazionale. Se il vademecum di Dépelteau ha aperto la riflessione, il volume curato da Donati, La teoria relazionale nelle scienze sociali: sviluppi e prospettive, accogliendo la sfida di “fare ordine” tra le diverse prospettive che a vario titolo si riferiscono alla relazione, pone due interrogativi ulteriori, che muovono per l’appunto dall’eterogeneità di visioni e prospettive proposte da Dépelteau: quale genere o specie di relazione consente di leggere e comprendere il sociale e quale sociale emerge a partire da questa prospettiva di analisi?

Il testo di Donati nell’offrire al lettore e alla comunità scientifica lo spessore e la profondità di tali domande, fornisce allo stesso tempo una chiara discussione dei possibili percorsi di risposta. Grazie ai contributi di Pierpaolo Donati, Sergio Belardinelli, Michela Bella, Pier Paolo Bellini, Lucia Boccacin, Ivo Colozzi, Fabio Ferrucci, Giovanna Rossi, Davide Ruggieri, Sandro Stanzani, Paolo Terenzi e Luigi Tronca le specificità della Teoria relazionale della società vengono messe a tema rispetto alle numerose sociologie relazionali che a vario titolo si riferiscono alla relazione ma che finiscono per formulare approcci ispirati al relazionismo, etichetta che identifica quegli approcci che riducono i fenomeni sociali alla sola dimensione relazionale o interattiva, priva di riferimenti sostanziali, strutturali o simbolici.
Il testo si muove in continuità rispetto alle opere che hanno sistematizzato il pensiero sociologico relazionale di matrice italiana dal 1983, anno di pubblicazione di Introduzione alla sociologia relazionale (Donati 1983) fino alla più recente e sistematica elaborazione delle parole e dei concetti chiave della sociologia relazionale proposta nel Lessico della sociologia relazionale (Terenzi, Boccacin, Prandini 2016). Sotto il profilo della formalizzazione di una scuola di pensiero, l’ulteriore domanda da cui muove il volume, di estrema utilità per la comprensione più matura del paradigma sociologico relazionale, è: qual è lo statuto della sociologia relazionale nella riflessione scientifica internazionale e quale, più nello specifico, il proprium della Teoria relazionale della società?

Il testo curato da Donati assume un’inedita struttura dialogica, fatta di rimandi, commenti, analisi e critiche, dove l’interlocutore potrebbe, a giusto titolo, essere identificato con François Dépelteau, ma richiama in realtà numerosi studiosi che animano la riflessione sociologica relazionale. Si tratta infatti di un vivace intreccio di voci che, attraverso la discussione critica degli approcci sociologici relazionali, ridefinisce lo statuto della Teoria relazionale della società. Se il vademecum di Dépelteau è riuscito a raccogliere i contributi internazionali della sociologia relazionale che, a partire dal Manifesto di Emirbayer (1997), hanno animato la riflessione scientifica internazionale offrendo un resoconto quanto più esteso ed eterogeneo possibile; il nuovo Manifesto per la teoria relazionale della società di Donati ha marcato in senso analitico le differenze che attraversano le sociologie relazionali. Con le parole dell’autore: «questo libro è stato scritto per mostrare le differenze fra la sociologia relazionale espressa nella forma di ‘teoria relazionale della società’ e le sociologie dette relazionali che si ispirano al relazionismo» (Donati, 2022, 13).

La prima parte del volume è incentrata su contributi che intendono delineare più chiaramente i fondamenti ontologici ed epistemologici della Teoria relazionale della Società. Qui il realismo critico proprio della Teoria, trova una compiuta definizione attraverso il confronto con il costruttivismo relazionista. Da un punto di vista epistemologico, Donati evidenzia come il realismo critico consenta il superamento del triangolo epistemico proprio del costruttivismo (osservatore-cultura-realtà osservata) che giunge solo a una conoscenza indiretta e mediata del reale, consegnando una visione ontologica del sociale piatta. Il proprium del realismo critico, al contrario, attraverso il quadrangolo epistemico rielabora i diversi strati del reale di Bhaskar (2008): empirical, actual e real, riconosce l’esistenza di una realtà (real) ontologica latente che consente di confrontarsi «con il mondo reale delle cose viste come realtà in sé dietro il velo della mediazione culturale disponibile» (Donati 2022, 28). L’esempio applicativo in cui il realismo critico rende conto delle sue potenzialità euristiche risiede nella definizione e comprensione della persona umana. Qui appare ancor più chiaramente la dialettica tra realismo critico e costruttivismo: dove il primo riconosce una relazionalità costitutiva dell’umano intrinseca alla sostanza naturale, intendendo relazionalità e sostanza co-principi della persona; il secondo può ammettere solo una relazionalità della persona priva di essenza che si configura pertanto come flusso, transazione o sequenza di eventi. In questo senso, il realismo critico viene inteso come una vera e propria «utopia concreta» in grado di vedere la realtà e «coltivare quella ragione relazionale giudicante che ci fa agire verso cose migliori. Migliori perché hanno a cuore la dignità dell’umano» (Donati 2022, 59).
L’ontologia sociale rappresenta uno di quei nodi critici in grado di distinguere chiaramente la Teoria relazionale della società dagli approcci relazionisti. Belardinelli conduce questa analisi attraverso gli approcci di Dewey, Deleuze e Latour osservando come lo snodo che accomuna, pur nelle rispettive differenze, questi tre approcci è lo scarso rilievo accordato ad un’ontologia del sociale. A partire da tale presupposto ontologico, l’epistemologia che ne deriva appare appiattita sulla contingenza e incapace di osservare, oltre al fluire dei processi sociali, anche le invarianze o le permanenze delle strutture. Attraverso tale lettura Belardinelli evidenzia come in definitiva ciò che risulta difficile da osservare, oltre alla consistenza del reale sono il cambiamento e le trasformazioni, poiché «possiamo dire che una struttura (come qualsiasi altra cosa o relazione) cambia soltanto perché qualcosa di essa nel cambiamento permane. Senza questa permanenza il cambiamento sarebbe invisibile; avremmo semplicemente strutture, cose o relazioni che si succedono l’una all’altra, non strutture, cose o relazioni che cambiano» (Donati 2022, 76).

La proposta sociologica avanzata di François Dépelteau, in un confronto diretto con la Teoria relazionale della società condotto da Colozzi, rileva due criticità fondamentali: la prima di carattere epistemologico, la seconda di carattere ontologico. Dépelteau non condivide il dualismo analitico che sostiene la reciproca influenza tra individuo e strutture, così come la concezione stratificata della realtà. In un dialogo serrato, con le proposte di Dépelteau e il pragmatismo di matrice deweyana che fa da sfondo alla sua sociologia transazionale, Colozzi evidenzia come l’esito di tale scelta ha dato forma in definitiva a un’ontologia piatta in grado di riconoscere solo le interazioni tra interlocutori/interagenti. Citando lo stesso Dépelteau: «l’universo sociale è piatto […] noi tutti trans-agiamo con altri trans-attori umani e non umani in vari campi che chiamiamo coppie, famiglie, luoghi di lavoro, campi di battaglia, nazioni, imperi, economia globale ecc.» (Dépelteau 2015, 55). Tuttavia, come evidenzia Colozzi, la conoscenza pratica a cui aspira la sociologia processuale-relazionale intesa come strumento per migliorare la società manca in definitiva, al pari della proposta filosofica di Dewey a cui si ispira, dei presupposti epistemologici in grado di definire gli strumenti e i criteri che consentano di riconoscere le proprietà e le qualità di una società migliore.

La filosofia pragmatista, che ha ispirato in modo particolare gli approcci sociologici di Jean-François Côté e Ian Burkitt, viene riletta criticamente, a partire dai concetti classici espressi in Peirce, Dewey e Mead, da Bella e Ferrucci. Gli autori, attraverso l’analisi dei contributi sociologici relazionali che hanno saputo dare maggiore voce agli aspetti ontologici e mediani propri della filosofia pragmatista, individuano interessanti elementi di connessione tra la prospettiva di Mead e la sociologia relazionale di Archer e Donati. È nello specifico la dimensione antropologica, epistemologica e ontologica del sociale a costituire uno sfondo comune tra i due approcci. In prima istanza, entrambi gli approcci assumono una visione terza rispetto ai riduzionismi relazionali, in accordo con una concezione integrata del reale, dove mente e mondo non danno forma né a un dualismo epistemologico, né a un dualismo ontologico. A partire da tali assunti, e a fronte della varietà delle sociologie che hanno ristretto o ridotto il portato del pragmatismo, appare quanto più significativa e interessante l’apertura di un nuovo terreno di scambio e confronto tra filosofia pragmatista e Teoria relazionale della società incoraggiata dagli autori.
A partire da altri assunti, il pensiero sociologico relazionale di Papilloud appare molto distante dalla Teoria relazionale della società. Seguendo il processo di costruzione del pensiero dell’autore, Ruggieri restituisce una sintesi chiara e ben argomentata dei maggiori punti di debolezza della prospettiva relazionale avanzata da Papilloud. Quale primo elemento di cesura rispetto alla Teoria relazionale della società l’autore evidenzia la riduzione della relazione, operata da Papilloud, nei termini di transazione, indistinzione e processualità: «la relazione infatti va intesa come contaminazione, osmosi, in-differenza» (Donati 2022, 132). A partire da questo approccio riduzionistico, seguono due importanti implicazioni epistemologiche e antropologiche: da un lato, la conoscenza relazionale diviene conoscenza relativistica; dall’altro, viene meno ogni distinzione tra umano e non umano, le relazioni infatti «si danno concretamente come una configurazione di istituzioni, organizzazioni, gruppi sociali o simili, attori non personali e attori individuali» (Ibidem). Gli esiti di un tale approccio in definitiva, evidenzia l’autore, finiscono per dare forma a una sociologia relazionale dimentica del suo oggetto specifico, ovvero la relazione.

L’analisi delle proprietà della relazione e, in senso ancora più specifico, di come le relazioni che formano il sociale possano trovare un coordinamento è il nodo da cui prende avvio la riflessione di Stanzani. Attraverso un approfondito excursus delle proposte teoriche di Dépelteau, Jan Fuhse e Pierre Bourdieu l’autore mette in luce il loro comune intento di formulare una sociologia pienamente relazionale (che per i primi due si configura come una vera e propria radical relational sociology). A fronte della dialettica interna alla stessa sociologia relazionale tra interpretazioni sostanzialiste e interpretazioni transazionali «che intendono spiegare il sociale attraverso l’analisi di relazioni intese come continui flussi, come connessioni-di-connessioni» (Ibidem, 188) le tre proposte, ancorate alla seconda modalità interpretativa, non consentono di osservare, né tanto meno comprendere, le modalità di coordinamento delle relazioni sociali. L’autore evidenzia infatti come Dépelteau cerchi di rilevare empiricamente, non senza contraddizioni, l’emergenza di queste modalità di coordinamento, mentre Fuhse adotti una prospettiva comunicazionale a la Luhmann per rendere ragione di un coordinamento non deterministico, ma allo stesso tempo, scarsamente relazionale, infine Bourdieu finisca per scivolare nell’affermazione di quelle forme di dominio sociale che in definitiva costituiscono un determinismo e sostanzialismo delle relazioni ancor più marcato. La proposta donatiana si muove quindi nel solco di questi punti ciechi, come una risposta possibile e un particolare modello di deep relational sociology attraverso la definizione della relazione sociale nei termini di autonomia (refero) e legame (religo). L’autore evidenzia che: «la possibilità di osservare le relazioni sociali come combinazioni, secondo gradazioni diverse, delle semantiche di autonomia e legame sociale consente da un lato di spiegare le modalità di coordinamento e dall’altro prevenire il rischio di cadere in forme di determinismo» (Ibidem, 187).

La seconda parte del volume è incentrata su contributi che intendono delineare più chiaramente i fondamenti metodologici e applicativi della Teoria relazionale della Società attraverso alcuni risultati di ricerche, concetti chiave e strumenti di analisi.

Da un punto di vista metodologico ed epistemologico, la Social Network Analysis, presentata da Tronca, può essere identificata come «un apparato metodologico, costituito da strategie e strumenti di ricerca, potenzialmente utile per indagini, di carattere esplorativo o esplicativo, condotte nell’ambito di percorsi teorici di matrice relazionale» (Ibidem, 198). In particolare, osserva l’autore, l’analisi dei reticoli di relazioni rende conto da un lato della dimensione individuale, ovvero la capacità degli individui di modellare le relazioni, ma d’altro canto non ignora gli effetti delle strutture sui comportamenti individuali. Riprendendo l’analisi di Pierre Mercklé è quindi possibile affermare che: «l’ambizione dell’analisi dei reticoli non è quella di rendere conto soltanto degli ‘effetti’ delle strutture sui comportamenti, ma anche, viceversa, degli effetti dei comportamenti sulle strutture» (Mercklé 2011, 99). Secondo questa prospettiva essa appare particolarmente rilevante e coerente per lo studio e la ricerca empirica che tenga conto dei presupposti propri della Teoria relazionale della società.


La concettualizzazione e l’operazionalizzazione della reciprocità costituisce il secondo banco di prova e di confronto operativo tra le sociologie relazionali e la Teoria relazionale della società. Lucia Boccacin mostra come le posizioni relazioniste di Davide Toews e Christian Papilloud non riescano a comprendere e spiegare fino in fondo la reciprocità. A partire dai dati qualitativi di una recente ricerca che ha ad oggetto l’accoglienza dei migranti ad opera di alcune organizzazioni religiose italiane (Boccacin, Lombi 2020), l’autrice mostra la differente consistenza dei due approcci alla reciprocità nell’illuminare il dato qualitativo: «nel confronto con la realtà empirica, si evidenziano i limiti di approcci unidimensionali e meno sistematici come quelli di Toews e Papilloud, che proprio per tali caratteristiche non riescono a cogliere le dimensioni culturalmente e applicativamente significative del concetto di reciprocità e, soprattutto, le fondamentali connessioni tra tali dimensioni» (Ibidem, 243). La Teoria relazionale della società, al contrario, intendendo la reciprocità come «forma della relazione sociale» (Donati 2006) consente una sua duplice operazionalizzazione sia come explanans che come explanandum, in grado di cogliere, in definitiva, le dinamiche intersoggettive dell’agire sociale nelle sue attribuzioni di senso e nei suoi effetti emergenti.


Nell’ordine dei costrutti o concetti, utili per la comprensione della dimensione relazionale dell’esistenza e in particolare per l’analisi dell’intersoggettività, si colloca l’esperienza musicale, presentata da Bellini. La musica qui intesa, sulla scia di Christopher Small (1998) come qualcosa che si fa (misicking), piuttosto che una cosa tra le altre, viene presentata attraverso le proposte sociologiche di Nick Croosley e Alfred Schütz. Il primo, contribuisce a delineare i concetti chiave di una sociologia della musica attraverso la centratura sulle reti di relazioni connesse alla sua esperienza, produzione e diffusione. Il secondo, affronta più direttamente il tema dell’intersoggettività, di cui la musica è espressione pratica e non solo metaforica, attraverso il concetto di turning-in, ovvero: «la comunicazione (musicale) avviene tramite una sintonizzazione reciproca dei tempi interni, un processo di sincronizzazione di flussi di coscienza (torning-in) reso possibile dalla partecipazione a un tempo condiviso, vivido, anche passato (!), che prende la forma politetica dell’oggetto musicale» (Ibidem, 260). La musica, secondo quest’ultima prospettiva, diviene espressione di una we-relation, ovvero di una sintonizzazione reciproca in cui i partecipanti diventano un noi. In definitiva, da un punto di vista operativo e metodologico, l’autore mette in luce come la musica, e in particolare lo studio sociologico del fenomeno musicale, consenta ancora una volta di osservare e comprendere le condizioni elementari dell’intersoggettività caratterizzate da quei tratti di trascendenza e proprietà umane assunte dalla Teoria relazionale della società.
L’ecological thinking adotatto da Andrea Doucet solleva l’interrogativo epistemologico e concettuale circa lo statuto attuale del femminismo. Giovanna Rossi propone una sintesi ragionata e critica della proposta di Doucet che attraversa gli aspetti metodologici, propri del metodo difrattivo, fino ai presupposti teorici, che trovano in Barad, Dépelteau e Code i suoi riferimenti più significativi nella concezione di relazione. In contrasto rispetto agli esiti di posizioni che finisco per perdere il proprium della relazione e dell’identità dei soggetti, la proposta dell’autrice intende adottare la concezione relazionale e identitaria della Teoria relazionale della società al fine di valorizzare il «neofemminismo della dignità» (Rossi 2019). In questo caso, «l’identità è definita attraverso e con la relazione, ma non per negazione dialettica, bensì per relazionamento a un’alterità. Si tratta dunque di una semantica d’articolazione relazionale, ovvero d’integrazione-differenziazione» (Ibidem, 288).


Anche lo studio dei processi educativi pone interessanti domande alla sociologia relazionale, in particolate attraverso il tentativo di definizione della leadership. In questo caso, è possibile comprendere a quali condizioni l’approccio relazionale possa definire tale concetto secondo criteri di verosimiglianza e coerenza. Paolo Terenzi, proponendo la riflessione teorica ed empirica di Scott Eacott che bene ha inquadrato la sociologia relazionale, definendo le diverse anime che abitano questa generale corrente di pensiero secondo tre paradigmi: adjectival (incentrato sul valore normativo della relazione), relationism (appiattisce la relazione nei termini di un co-determinismo o di un conflazionismo tra agency e struttura) e relational (espressione di una prospettiva di ontologica ed epistemologica specifica che assume la relazione come punto di partenza della riflessione sociologica). Il paradosso ben evidenziato da Terenzi risiede nella mancata semantizzazione del concetto di relazione, frutto di una scelta operata da Eacott che ha infine impedito, in sede di analisi empirica, di riconoscere la specifica connotazione relazionale della leadership: «quando parla di leadership in ambito educativo sostiene che, in fondo, questa sia una costruzione sociale che viene generata dentro un quadro sociale e politico che la rappresenta in modo funzionalistico» (Ibidem, 309).


L’ultimo tema, di carattere applicativo, pone la Teoria relazionale della società di fronte all’interrogativo circa le proprietà delle relazioni fra umani e robot nello specifico contesto della cura e assistenza alle persone anziane. L’incremento della tecnologia robotica nell’assistenza sociale agli anziani apre la questione sul vissuto di dipendenza dell’anziano e sulla relazione con il caregiver. Pierpaolo Donati apre quindi una riflessione sulle specificità delle relazioni interumane di cui è espressione la relazione di cura tra anziano e caregiver e che mal si concilia all’interazione tra anziano e robot. A sostegno di tale disparità e differenza, il proprio dell’umano, ovvero la sua dignità personale assume una rilevanza centrale. Attraverso un percorso teorico che attraversa e supera l’approccio delle capacità rielaborato da Amanda Jane Sharkey a partire dalla proposta della Nussbaum, Donati riconosce nell’essere soggetto relazionale la specifica dignità dell’anziano, come di ogni persona. In questo senso, le tecnologie robotiche potrebbero essere interpretate e applicate nei servizi di cura al fine di «creare relazioni e contesti relazioni che danno potere alle persone in tutte le attività della vita» (Ibidem, 342). In altre parole, i robot, nel rispetto della dignità degli anziani, non possono essere loro amici ma possono favorire relazioni pienamente umane tra anziani e caregiver, configurandosi come un «ausilio alla produzione di beni relazionali» (Ibidem, 342).

L’articolato volume, di cui qui si è voluto dare conto per sommi capi, ha quale principale pregio l’avere esposto in maniera analitica un ricco ventaglio di teorie sociologiche, ma non solo, variamente orientate alla relazione. L’analisi puntuale condotta dagli autori è riuscita: da un lato, a confrontare quei presupposti teorici, ontologici, antropologici, epistemologici e metodologici che marcano il confine tra le sociologie relazioniste e la Teoria relazionale della società; dall’altro a discutere specifici temi, costrutti, concetti o correnti di pensiero mostrando la portata euristica propria della Teoria relazionale della società.

Se le relazioni costituiscono oggi un tema di estremo interesse per la sociologia, il fil rouge che attraversa i diversi contributi, ci consente di identificare una definizione di relazione sociale in grado di superare la prova dei fatti, ovvero capace di osservare e comprendere il reale, attraverso un’ontologia del sociale, un’antropologia relazionale e un’epistemologia ispirata al realismo critico. Da un punto di vista scientifico il volume marca ancor più chiaramente i confini tra lo «sguardo relazionale» sul reale, proprio della Teoria relazionale della società, in grado di rendere conto dei fenomeni sociali e gli sguardi oggettivizzanti o soggettivizzanti che assolutizzano o dissolvono il reale. Tale categorizzazione ricorda la tripartizione dell’atto visivo, elaborata da Agostino e poi ripresa dalla Arendt, secondo cui in ogni atto visivo sono distinguibili tre elementi: l’oggetto osservato, che preesiste allo sguardo; la visione che ha luogo con la percezione e l’attenzione della mente che fissa la vista sull’oggetto (Arendt 2009). L’attenzione della mente, che nella riflessione agostiniana coincide con la volontà, è quell’elemento di coesione che si realizza compiutamente solo come amore (voluntas: amor seu dilectio) e rende possibile in concreto la percezione sensibile e il pensiero. Seppure solo in senso analogico, possiamo sostenere che lo sguardo relazionale ha fatto fiorire il seme gettato dall’interpretazione dei filosofi, o per usare ancora un’espressione arendtiana, come il pescatore di perle ha raccolto i tesori del pensiero ormai sommersi per renderli attuali: «Come un pescatore di perle, che si cala nelle profondità del mare, non per scavarne il fondo e riportarlo alla luce, ma per carpire agli abissi quanto di prezioso e raro posseggono, le perle e i coralli, e ricondurlo in superficie […] nel fondo degli abissi, in cui affonda e si dissolve tutto ciò che un tempo aveva vita, alcune cose subiscono dal mare un mutamento e sopravvivono in nuove forme e figure cristallizzate, immuni agli elementi, come in attesa del pescatore di perle che un giorno scenderà sino a loro per ricondurle al mondo dei vivi – quali frammenti di pensiero cose ricche e strane e anche forse, quali eterni Urphänomene» (Arendt 2004, 27-28). Se le correnti d’acqua più superficiali hanno mostrato, nelle argomentazioni proposte dal volume, una particolare confusione e difficoltà nel cogliere l’enigma della relazione nella sua portata conoscitiva, come alcuni autori hanno evidenziato (da Bella e Ferrucci), un’immersione nelle acque più profonde potrebbe consegnare alla Teoria relazionale della società nuovi frammenti di pensiero.

Bibliografia
Arendt H. (2004). Il pescatore di perle: Walter Benjamin (1892-1940), Se, Milano 2004
Arendt, H. (2009). La vita della mente, Il Mulino, Bologna.
Burawoy, M. (2005). For public sociology. American sociological review, 70(1), 4-28.
Dépelteau, F. (Ed.). (2018). The Palgrave handbook of relational sociology (p. 3). London: Palgrave Macmillan.
Donati, P. (1983). Introduzione alla sociologia relazionale, Milano, Franco Angeli, II ed. 1986.
Donati P. – Maspero G. (2021). Dopo la pandemia. Rigenerare la società con le relazioni, Città Nuova, Roma.
Makridis CA, Wu C (2021) Correction: How social capital helps communities’ weather the COVID-19 pandemic. PLOS ONE 16(9): e0258021.